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Cosmographia Libro terzo Parte 5
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Ma l'habitudini d'ogni stella al Sole così si ponno distinguere. Li principal221 punti del iorno naturale sono quattro: l'orto222, il mezzo iorno, l'occaso, la mezza notte, distinti per l'horizonte, et il meridiano. Ad ognuno di questi tempi, ogni stella sole fare quattro cose: cioè nascere, mediare il cielo sopra terra, colcarsi, mediare il cielo sotto terra. Il nascimento, dunque, della stella, <la mediatione del cielo sopra terra, il colcare223>, la mediatione del cielo sotto terra, nell'orto del Sole si chiamerà matutino, nel mezzo dì meridiano, nell'occaso del Sole vespertino, nella mezza notte [ò224] intempesto. In tal modo, sì il nascimento, come il mediare il celo sopra terra, come il colcare, come anchor il mediare il celo sotto terra, d'ogni stella harà quattro habitudini al Sole. Et così ogni stella al Sole viene ad havere quattro volte quattro habitudini, cioè 16.

L'abitudine meridiana, è et non pare, per la presentia del Sole [C:125v] et però vera et non apparente si chiama. L'habitudine intempesta225 è et pare, perché, nella notte intempesta, ogni stella sopra terra pare, et però vera et apparente si dice. L'habitudine anchora, sì matutina come vespertina, della stella sopra terra, o226 nell'horizonte, è et non pare, per la presentia del sole nell'horizonte, et però vera et non apparente se appella227. Ma potria pur il Sole esser tanto sotto l'horizonte, et però l'aer tanto bruno, che la stella paresse, et però allora tale habitudine apparente si chiameria. Il nascimento, dunque, matutino apparente della stella si chiama visione, apparitione, o fulsione matutina. Il colcare vespertino apparente della stella si chiama apparitione, visione, o fulsione vespertina. Le stelle fisse et li pianeti superiori, per alcun spatio innante il colcamento loro vero vespertino, fanno l'ultima fulsione vespertina, perché il Sole è più veloce di quelli, et accostasi a quelle ver livante. Et, per alcun spatio poi del nascimento loro vero matutino, cominciano a fare la prima fulsione matutina, perché il Sole li lascia ver ponente.

Ma la Luna, per alcun spatio innante il suo nascimento vero matutino, fa l'ultima fulsione matutina, perché essa, ch'è più veloce del Sole, s'accosta a quello ver livante. Et, per alcun spatio poi del suo colcamento [C:126r] vero vespertino, fa la prima fulsione vespertina. Onde Venere et Mercurio, li quali, alcune volte più tardi, alcune volte più veloci del Sole, sogliono fare ciò che fanno i pianeti superiori, et anchor ciò che fa la Luna, et però fanno la prima et ultima fulsione, sì matutina come vespertina. Ma dell'horto et occaso et fulsione prima, o postrema, delle stelle, copiosamente, tracta Autolyco228 nelli Phenomeni; et Ptolemeo, più sottilmente, benché pretermise le fulsioni della Luna. Venere, quando nasce matutina, si chiama phiomegasigmaphiomicronroomicronsigma, cioè Lucifero; et quando si colca vespertina, si chiama epsilonsigmapiepsilonroomicronsigma, cioè Vespero, d'onde sortisce il nome, l'hora et il canto vespertino. Et sola tra pianeti,come dice Plinio, ha tanto fulgore che getta ombra, et suole poco de iorno. Mercurio si chiama sigmaiotalambdabetaomeganu, cioè Lucido. Marte piupsilonroomicronepsiloniotasigma, cioè Ignito229 Giove phialphaepsilonthetaomeganu, cioè Splendido. Saturno phialphaepsilonnuomeganu, cioè Manifesto. Questi nomi Firmico dice esser apò gli Egyptij.

Usali Capella, Iginio, Apuleio, et apò gli Greci Platone.

Per sapere il termino delle prime et postreme fulsioni, matutine et vespertine, nelle stelle et in questi cinque erratici, Ptolemeo colloca230 la stella nell'horizonte, nell'articulo della prima o postrema fulsione, et mena un cerchio grande, per gli poli d'horizonte et per [C:126v] lo loco vero del Sole, posto sotto l'horizonte, et l'arco di tal cerchio, tra l'horizonte et il luoco del Sole, chiama arco di visione. Tale archo, ad una stella, sarà invariabile, perché sempre che, essendo la stella nell'horizonte, il Sole, per tale arco, sarà depresso sotto l'horizonte, <e231> sarà la stella nell'articulo della prima o postrema fulsione. Et la stella, piu grande in vista, accaderà minor arco di visione, perché meno è obtusa dal solare raggio, et a minor intervallo si mostra. Onde le stelle della prima magnitudine, prime si vedono, et postreme spariscono. Ptolemeo, dunque, per vetustissime osservationi de Chaldei, seppe che arco di ecliptica232 era tra ciascun pianeta, nel principio di Cancro primo apparente, et il Sole, dal quale spatio cava l'arco della visione, et dall'arco dela visione deprende233 quanto, in qual voi loco del zodiaco, dal Sole s'allontana il pianeta, nel principio, o fine, della sua visione, in ogni horizonte. L'arco, dunque, della visione in una stella, ad ogni horizonte, fora uno, se l'aria fosse in ogni loco d'una purità. Et però se qualche diversità vi si trovasse, sarà in causa la grossezza di vapori.

Ma l'intervallo dell'ecliptica, che rimove il Sole dala stella, primo, o postremo, apparente, si diversifica per due [C:127r] cause, cioè per l'obliquità di l'ecliptica et di l'horizonte. Però, in una latitudine di regione, un pianeta instandoli al termino della prima, o postrema, fulsione, in diversi lochi del zodiaco, ha diverse distantie dal Sole. Et in un luoco del zodiaco harà, in diverse latitudini di reggioni, anchor diverse distantie dal Sole. Onde errano quelli che la Tabbella di tal distantie, construtta da Ptolemeo al mezo del tertio clima, applicano all'uso degli altri climati. Ancor due stelle, che hanno una longitudine et inequali latitudini, apparono et disparono a diversi intervalli.

Fanno, addunca, li tre superiori pianeti, l'ultima fulsione vespertina et la prima matutina, circa l'auge vera dell'epiciclo. Et li due inferiori234 circa l'opposto dell'auge detta. Ma oltre ciò, li due inferiori, circa l'auge vera dell'epiciclo, fanno l'ultima fulsione matutina et la prima vespertina. Il che anchor la Luna, circa l'auge del235 suo eccentrico. Et, in un luoco del zodiaco, ciascun delli cinque ha quella medesima passione, sempre ad uno intervallo dal Sole, perché, tornando a quel luoco del zodiaco et a quel intervallo, torna anchor a quella dispositione il pianeta nell'epiciclo <e l'epiciclo236> nel deferente, et però sopra quella latitudine, et però quel medesimo intervallo al termino della visione chiede. [C:127v] Onde il pianeta ha tante Tabelle, quante son le sue passioni; cioè ciascun delli tre superiori due, et ciascun delli due inferiori quattro. Et può accadere a Venere che la sera faccia l'ultima fulsione vespertina; et la sequente matina faccia la prima fulsione matutina. Il che al volgo pare mirabile. Il quale non considera che la causa di questo è la gran latitudine verso il polo manifesto, che in tal caso patisce Venere. Alcuni, come Campano nella sua Sphera, sì l'orto come l'occaso matutino, o vero diurno, chiamano cosmico. Ma l'orto et l'occaso vespertino, o nocturno, chiamano chronico. Anchora la fulsione prima della stella, orto heliaco, et la postrema, occaso eliaco appellano.

Io vuo' dirti237 alcuna cosa di le duodeci case, o domicilij, o mansioni del cielo, et tanto più, ch'è cosa alle radicij dell'Astronomia molto importante, et trovarossi circa questo negotio openioni diverse.Giovanne de Regio Monte, nelle Tavole di Directioni, commemora tre modi circa l'equation delle case. Delle quali il primo è il volgato, il quale parte238 l'arco, sì diurno come nocturno, oriental del punto oriente dell'ecliptica in tre archi equali. Et, per li punti delle divisioni et per li poli del mondo, mena cinque cerchi, li quali, insieme col meridiano, partono, [C:128r] sì il zodiaco come tutto il cielo, in 12 portioni. Li quali si chiamano case. Per lo qual non siegue, che detti archi sechino l'arco, sì diurno come nocturno, occidentale del punto occidente della ecliptica in tre archi equali.

Questo modo è lodato da Giovanne de Saxonia, nell'Espositione de Alcabicio. Il secondo modo parte i239 singoli quadranti del cerchio verticale, tral zenit et l'horizonte in tre archi equali. Et, per li punti delle divisioni, et per le sectioni del meridiano con l'horizonte, mena quattro cerchi grandi, li quali, insieme col meridiano et l'horizonte, partono il zodiaco et tutto il cielo in 12 parti, le240 quali si chiamano case.

Questo modo piacque a Campano et a Gazulo241. Il terzo modo parte i singoli quadranti dell'equinoctiale, tral meridiano et l'horizonte in tre archi equali. Et, per li punti delle divisioni, et per le sectioni del meridiano con l'horizonte, mena quattro cerchi grandi, li quali, insieme col meridiano et horizonte, partono il zodiaco et tutto il cielo in 12 parti, dette case. Questo modo è molto approbato da Giovanne nostro de Regio Monte. Questi tre modi convengono tutti nella divisione del cielo et del zodiaco in 12 parti. Tutti anchor partono il semicirculo del zodiaco, sì sopra terra, come sotto, in 6 parti, in ogni horizonte. Ma [C:128v] nell'horizonte <e242> retto, tutti i tre modi si accordano, sì che diventano un modo.

Ma, veramente, l'horizonte sempre deve essere limite tra li sei et sei case, cioè che 6 siano intiere sopra terra, et 6 intere sotto terra. Il che nell'obliquio horizonte non accade, salvo che al secondo, et terzo modo. Onde quanto a questo sono megliori del primo. Ma tra loro differiscono, chè el secondo parte il verticale, et il terzo l'equinoctiale, in parti equali. Et perché il verticale <è un circulo243> imaginario, che niente ha vertù, anzi, tutta la precipua influentia del moto primo consiste nell'equinoctiale cerchio precipuo di tal moto, però il terzo modo è più lodato, et chiamato rationale da nostro Giovanne. Ond'io questo ammonisco da sequirsi.

Queste case si adequano medianti244 l'ascensioni, le quali rispondono alli cerchi dividenti, come l'horizonti. Onde è necessario prima sapere quanto si elevi il polo sopra tali horizonti. Il che si sa per la dottrina delli Sperali Triangoli et, come il nostro Giovanne, nelle Tabule del primo mobile, insegna. Et cognite sei di quelle, note vengono l'altre. Perché, singole alle singole, per diametro sono opposte le case principali. Et più forti son quattro, le quali son chiamati angoli, o cardini, cioè la prima detta ascendente, il principio [C:129r] dela quale determina il semicirculo orientale dell'horizonte; la quarta, detta angulo di mezza notte, il principio dela quale termina il semicirculo subterraneo del meridiano; la settima, detta angulo d'occidente, il cui principio fa il semicirculo occidentale dell'horizonte; la decima, detta regia et angolo del mezzo cielo, il cui principio fa semicirculo del meridiano sopra terra. Et l'altre, che accedono a queste, si chiamano succedente, cioè la 2a, 5a, 8a, 11a, et hanno manco forza. Le restanti si dicono cadenti, cioè la 3a, 6a, 9a, 12a, et hanno minimo di fortezza. Le case singule hanno certe virtù et proprietà, come Ptolemeo, Alcabicio, et l'altri giudici delle stelle a pieno raggionano.

Io veggio, per cenni, che ti miravigli, com'io non habia dell'Astrolabio, instrumento usitato et notissimo, detto alcuna cosa. Io non posso ogni cosa, in sì breve sermone, chiudere; ogni instrumento chiede un libro per se. Pure, sì come habbiam parlato del quadrante, dell'instrumento dell'armille, delle regole, della spera solida, così et dell'astrolabio summariamente dirremo.

Astrolabo vol dire acception di stelle, col zodiaco, descritta in piano. Ma intende, con che artificio, la spherica faccia si possa in piano gettare. Colloca la sphera solida in un piano, in tal guisa ch'el polo settentrionale continga il piano. Onde seguirà che l'asse della sphera sia a tal [C:129v] piano perpendiculare, et che l'equinoctiale, et ogni suo parallelo, sia equidistante al piano. Or pone, nell'australe polo, un lucente et radiante punto. Così ogni cerchio della sphera gettirà l'ombra sua nel piano, et ogni ombra sarà circulare, come dalli Conici de Apollonio si può cavare.

Perché ogni ombra o sarà equidistante al suo cerchio, come quelle di l'equinoctiale et suoi paralleli, o sarà subcontraria ad esso, come quelle245 di tutti l'altri cerchi, eccepti quei che passano per li poli, l'ombre delli quali sono rettilinee. Onde, quanto ogni cerchio fia più vicino al punto radiante, cioè al polo australe, tanto più ampia farrà l'ombra, ma, per evitare246 l'immoderata ampiezza, l'astronomi non passaro oltre il tropico di Capricorno. Or in tal modo si getta la sphera in piano, et li cerchi, che vanno per lo zenit, et li paralleli all'horizonte. Onde alcuni, tale instrumento, Planispherio chiamano. Ma il zodiaco, con alcune stelle notabili, sia mobile circa il centro dell'astrolabio, dove è il polo septentrionale, et circa quel medesimo centro, nel dorso dell'instrumento, volubile si pone una regola, con due forate piume. Così guardando il Sole, o qual vuoi stella, per li forami della regola, pendendo l'instrumento dall'armilla [C:130r] si comprende l'altitudine di quella, nel limbo dell'instrumento distinto per gradi. Et poi il luoco del Sole, o de tal stella, nella faccia d'astrolabio, volvendo il zodiaco, si colloca sopra tanta medesima altitudine nelli paralleli dell'horizonte, o ante meridiana, o post meridiana com'era. In tal modo il zodiaco dell'instrumento si dispone al modo del zodiaco celeste. Et cossì appare nell'instrumento qual stella nasca, qual si colchi, qual sia sopra, et qual sotto l'horizonte. Et cossì dove sia il Sole, et quanti gradi sia elongato dal mezzo giorno, o dall'occaso, per li gradi del limbo, et che hora sia.

Il Solario è uno instrumento stabile, nel quale un stylo, con l'ombra, mostra l'hore, le quali sono, per recte linee, distinte, o da mezzo dì, o dall'occaso cominciate. Ma il primo piano del solario si pone equidistante, o ad l'horizonte, o al verticale, o al meridiano. Onde si potria statuere un cubo, sopra una base, al piano dell'horizonte, di modo che, in ciascuna dell'altre cinque base, un stylo, con l'ombra, mostrasse l'hora. Et accadendo chel Sole vedesse tre delle basi, l'ombre delli tre stili fossero concordi nel mostrare dall'hora. Alcuni fanno solarij portatili, et quelli covernano et drizzano per la sagitta ferma con la virtù della magnete attemperata. Et per [C:130v] toccare di ogni cosa: Ptolemeo disse solamente la proportione di 3 corpi, et grandezza, cioè della terra, del Sole, et della Luna, et loro distantia, per le vie antedette. Dela grandezza dell'altri corpi celesti si tacque, perché parlare di quelli gli parve difficile et dubio, per la piccola quantità loro visuale.

Ma Alfragano et Thebit hebbero ardire di manifestare l'altre grandezze et distantie. In questo modo, la maxima distantia della Luna, che fu cognita per rispetto del semidiametro della terra, è quasi la minima distantia di Mercurio. Ma la minima di Mercurio alla sua maxima ha cognita proportione. Perché la minima resta sottrahendo l'argumento della eccentricità et del semidiametro dell'epiciclo dal semidiametro del deferente; et la massima si confla dal semidiametro del deferente gionto col detto aggregato. Addunca, et la maxima distantia fia cognita, a rispetto del semidiametro della terra. Non altrimente, con la minima distantia del Sole, ch'è247 quasi la massima di Venere, si può248 la minima di Venere conoscere. Et con la maxima del Sole, ch'è quasi la minima di Marte, si può la massima di Marte perpendere. Et per Marte quella di Giove, et per Giove quella di Saturno, et poi quella di l'ottavo celo investigare.

Ma li visuali [C:131r] diametri delle stelle si ponno per certe regole, come quello del Sole et della Luna, coniectare. Adunca, dall'angolo visuale et dalla distantia, viene cognito il vero diametro della stella. Dagli diametri, poi, cubicamente multiplicati, nasce la proportione delle solidità. Ma chi potria, sì familiarmente parlando, tante et sì profonde cose comprendere. Il mio proposito fu qui dare una sommaria introductione dela facultà astronomica, et all'intelligentia della grande ptolemaica constructione. Ma io sento non so che rumori, et suono de tube, et vedo, se l'occhio non m'inganna, Antimaco mio, verso noi accostarse Janpietro Villadicani mio discepulo. Io credo chel mamertino magistrato all'occurso di Carlo Cesare è uscito, il quale dal coenobio de Santo Placido, dove heri havea arrivato, deve hormai esser partito per intrare la città. Questo advento sia felice et profiguo alla Repubblica, et al commune commodo. Però è hora già di far fine al nostro sermone, et uscire per vedere il festivo e triunfale apparato all'intrata di tanto Duce.

Fine del Terzo, et ultimo Dialogo dela

Cosmographia di Francesco Maurolico. Nel

Rure dell'Annunciata innante il Tem-

pio di Sant'Alessio sotto l'Arangio, et il

Celso. A dì 29 di Settembre 1536 -

[C:131v]

Scritti dolati, et politi d'Infinite postille

additioni, et macchie dall'Autore nell'

Originali aggionte per me Janpietro Villa-

dicani nelle mie case innante il tem-

pio di S. Pietro; Sotto la Camera paterna

à dì XX di Maggio 1544 -

Laus Deo Patri Amen

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