Enrico Betti

Il 21 Ottobre del 1823 nasceva a Pistoia Enrico Betti, padre di tutta la scuola matematica pisana. La ricorrenza del bicentenario dalla nascita ha offerto l’occasione per celebrare questa straordinaria figura, la sua opera matematica e il suo costante impegno per la promozione e la diffusione della cultura scientifica nel nostro Paese.
Il Dipartimento di Matematica, in collaborazione con la Scuola Normale, e con i contributi della Fondazione Caript di Pistoia e Pescia, della Associazione Storia e Città di Pistoia e di altre associazioni locali, ha organizzato una serie di eventi: il convegno dal titolo “Betti, l’impegno scientifico e civile” , tenutosi il 19 ottobre 2023 a Pistoia, presso la Fondazione Caript e il convegno “L’opera matematica di Betti, ieri e oggi”, che si è svolto a Pisa il 20 ottobre 2023 presso il palazzo della Carovana. Sono state allestite inoltre due mostre, a Pistoia e a Pisa, nelle quali sono stati esposti documenti d’archivio e materiale illustrativo sulla vita e l’opera di Betti.

Una breve biografia

Enrico Betti nasce a Pistoia il 21 ottobre 1823 alle ore 9 antimeridiane nella casa posta al n. 1115 sul lato interno del Corso (l’attuale Corso Gramsci, già Corso Vittorio Emanuele), nella parrocchia di S. Giovanni Fuorcivitas.

Il padre Matteo muore quando Enrico non ha ancora otto anni. Rimane dunque nella casa natale affidato alle cure della madre, «austera, saggia e virtuosa», la quale col reddito di due casupole poste alle Gore Lunghe in Pistoia (tra via Palestro e via Filippo Pacini) – come racconta Ulisse Dini nel necrologio del suo maestro – e col suo lavoro attende alla educazione del giovane Enrico e delle due sorelle Laura e Luisa. A Pistoia, Betti compie gli studi al Liceo Forteguerri negli anni 1838-1842. Ottiene un posto gratuito, di quelli detti “di Sapienza”, all’Università di Pisa, dove nel 1846 consegue la laurea in matematica. Segnalatosi già per alcune osservazioni nel campo della geometria analitica, è incoraggiato dai suoi professori a coltivare la matematica e a darsi all’insegnamento piuttosto che ad applicazioni professionali. Gli viene confermato il posto gratuito in Sapienza e viene aggregato alla cattedra di Geometria, con la possibilità di mantenersi anche dando lezioni private. 

Nominato assistente nella università di Pisa, nel 1848 Betti prende parte come caporale del battaglione universitario toscano comandato da Ottaviano Mossotti alla battaglia di Curtatone e Montanara nel corso della Prima Guerra di Indipendenza. Forse proprio questo impegno risorgimentale lo rende sospetto alle autorità, procurandogli qualche ritardo nella carriera universitaria e costringendolo, suo malgrado, a rivolgersi all’insegnamento. Il 12 giugno 1849 è nominato supplente al Liceo Forteguerri di Pistoia sulla cattedra di matematica, in sostituzione del prof. Paolo Corsini, che è stato allontanato dalla scuola per ragioni politiche. Il posto d’insegnante di matematiche nel Liceo di Pistoia è retribuito dapprima con lo stipendio di lire 756 all’anno poi portato a 1008 nell’anno successivo quando, a seguito di concorso, Enrico è nominato titolare. 

Dalla corrispondenza con Mossotti apprendiamo come Betti sia amareggiato per l’isolamento scientifico e intellettuale a cui la sua attività di insegnante a Pistoia lo costringe. Tuttavia, è proprio in questi anni che egli compie le prime importanti ricerche intorno ai lavori di Galois e di Abel sulla risolubilità delle equazioni algebriche ed entra in rapporto con alcuni dei maggiori matematici italiani dell’epoca, come Libri, Tardy, Novi, Tortolini. 

L’8 febbraio 1854, grazie alle raccomandazioni di Mossotti e alle sollecitazioni di Giovanni Novi, Betti ottiene il trasferimento al Liceo Dante di Firenze per insegnarvi Algebra superiore. A Firenze accetta anche l’incarico di supplente di geometria analitica e il doppio stipendio, insieme ai proventi delle lezioni private, lo mette in una condizione di sicurezza economica che gli consente di acquistare volumi e di abbonarsi a riviste matematiche straniere, come il Journal de Crelle, con le quali può rimanere aggiornato sugli sviluppi più recenti della disciplina.

Proprio i suoi lavori sulla teoria delle equazioni algebriche gli assicurano una certa notorietà e il giusto riconoscimento, tanto che nel 1857 Betti è chiamato alla cattedra di Algebra superiore a Pisa in sostituzione del defunto prof. Doveri, che era stato suo insegnante. Inizia così la carriera universitaria a Pisa, dove Betti insegnerà sino al 1892, poco prima di morire: tiene la cattedra di Algebra (1857-59), quella di Analisi e Geometria Superiore (1859-64) e poi quella di Fisica Matematica e di Meccanica Celeste e Astronomia, succedendo a Mossotti.

A Pisa Betti risiede e svolge quasi tutta la sua attività. Rimane però in contatto con l’ambiente pistoiese e la città di Pistoia, nella cui circoscrizione è eletto deputato del neo-nato Regno d’Italia, nel 1862, nel 1864 e nel 1874 (VIII, IX e XII legislatura, rispettivamente). Un ulteriore legame di Betti con il circondario pistoiese è l’affettuosa amicizia con il matematico Placido Tardy e con sua moglie, parente dell’imprenditore Bartolomeo Cini, nella cui villa di San Marcello sulla montagna pistoiese è ripetutamente invitato a trascorrere qualche giorno di vacanza.

La morte lo coglie nella sua piccola villa di Soiana, sulle colline pisane, dove da decenni è solito trascorrere, in compagnia del nipote i periodi di riposo, al mattino dell’11 agosto 1892, dopo una lunga malattia che ormai da qualche tempo lo ha tenuto lontano dall’insegnamento.

L’amicizia con Riemann

Betti incontra Riemann per la prima volta nell’autunno del 1858, in occasione del viaggio di studio che insieme a Brioschi e Casorati lo ha condotto a Parigi, Berlino e a Gottinga, dove Riemann insegna.

L’incontro con Riemann ha per Betti un’importanza decisiva. Segna non soltanto l’inizio di uno stretto e sincero rapporto di amicizia ma anche una profonda trasformazione negli interessi di ricerca del matematico pisano. Sin dalla fine degli anni Cinquanta, influenzato dai lavori di Riemann, Betti si dedicherà infatti allo studio delle funzioni di variabile complessa, allo studio della teoria delle funzioni ellittiche e in seguito alla fisica matematica che costituirà il centro delle sue ricerche sino alla sua morte nel 1892.

Nell’estate del 1863, Betti si attiva per proporre a Riemann la cattedra di Geodesia presso l’Università di Pisa che si è resa disponibile in seguito alla morte di Mossotti. Nel luglio dello stesso anno, Betti scrive a Riemann che da poco ha fatto ritorno a Gottinga dal suo primo viaggio in Italia.

“Io ho disposto le cose in modo che, data la vostra accettazione non vi possano essere difficoltà alla vostra nomina di Professore della Università di Pisa. Ma è necessario di non procrastinare, perché quando voi, contro i desideri miei e dei miei colleghi, non voleste accettare bisognerebbe saperlo subito per poter pensare a provvedere altrimenti. E perciò che io mi trovo obbligato a sollecitare la vostra risoluzione che voglio sperare favorevole, benché il ritardo un poco prolungato mi faccia temere.” (Archivio dell’Accademia di Gottinga)

Ma il deterioramento delle sue condizioni di salute (Riemann confessa a Betti di “non poter parlare ad alta voce se non con molta fatica”) gli impone di declinare l’offerta.

Riemann, che era affetto da tubercolosi, trascorre in Italia molti mesi fra il 1862 e il 1866 con la speranza che la mitezza del clima possa migliorare la sua salute. Richard Dedekind nella breve biografia (1876) su Riemann così descrive il soggiorno italiano dell’amico:

 “Nel complesso, gli anni trascorsi in Italia, nonostante il triste modo in cui si sono conclusi, hanno rappresentato il momento clou della sua vita, non solo per il piacere infinito che gli ha regalato questa incantevole terra con le sue bellezze naturali e i suoi tesori artistici, ma anche perché era qui che si sentiva libero. Era libero dalle meschine restrizioni nei suoi rapporti con altre persone che pensava di dover osservare ad ogni passo a Gottinga. L’effetto benefico del clima sulla sua salute faceva sì che fosse spesso piuttosto allegro e potesse avere molti giorni felici.” 

Una straordinaria testimonianza dell’intima amicizia tra Riemann e Betti, che si rinsalda proprio negli anni che Riemann trascorre a Pisa, è offerta dalla seguente lettera (datata 2 marzo 1864) nella quale Riemann offre a Betti i suoi “stivali di pelliccia” per affrontare un viaggio a Torino, dove Betti si deve recare per assolvere ai suoi impegni di deputato.

“Amico carissimo!
Mi avete detto ieri sera chè [sic!] non ostante il vostro male di piede vogliate andare a Torino, e poiché  il freddo vi potrebbe essere dannoso, mi è venuto in testa di offrirvi per questo viaggio i miei stivali di pelliccia . Li ho trovat[i] molto comodi in viaggio perché si può camminare con essi senza verun disagio. Mi permetto di mandarveli affinché possiate provarli e mi fareste gran piacere facendone uso. Si mettono sopra gli stivaletti. Nel caso chè non siate in casa o chè non possiate provarli subito la nostra donna li lascerà in casa vostra e verrà a riprenderli all’occasione.
Resto con augurarvi con tutto l’animo perfetta salute e un buon viaggio […]” (Centro Archivistico SNS)

I numeri di Betti

Il più celebre dei lavori di Betti è senza dubbio l’articolo “Sopra gli spazi di un numero qualunque di dimensioni “che è pubblicato sugli “Annali di Matematica Pura e Applicata” nel 1871. Qui Betti sviluppa alcune idee di Riemann sulla topologia delle varietà, proponendo una generalizzazione della nozione di connessione per varietà pluridimensionali (di dimensione maggiore di due). La denominazione di “numeri di Betti” ancora oggi impiegata per indicare il rango dei vari gruppi di omologia di uno spazio topologico fu introdotta da Henri Poincaré nel 1895, in un fondamentale lavoro, “Analysis situs”, che segna l’inizio della moderna topologia algebrica.

Le idee essenziali alla base della trattazione di Betti, che con ogni evidenza egli ha ricavato dai numerosi colloqui con Riemann sull’argomento, risalgono in realtà ai primi anni Sessanta. Ciò è testimoniato da un paio di lettere che Betti scrive all’amico Placido Tardy nell’ottobre del 1863. Eccone uno stralcio nel quale Betti discute della semplice connessione nel caso di spazi tridimensionali.

“Mio caro Placido,
Ho nuovamente parlato con Riemann della connessione degli spazii, e mi sono fatto una idea esatta.
Uno spazio si dice semplicemente connesso quando ogni superficie chiusa, contenuta in esso, ne limita da sé sola completamente una parte, e ogni linea contenuta contemporaneamente in esso limita completamente una superficie contenuta interamente nello stesso, ossia può riguardarsi da sé sola come il contorno completo di una superficie contenuta interamente nello spazio stesso.
Lo spazio racchiuso da un ellissoide è uno spazio semplicemente connesso. Lo spazio racchiuso da due sfere concentriche non è semplicemente connesso, perché una terza sfera concentrica compresa fra le due, sebbene chiusa e contenuta nello spazio, non limita de sé sola una parte dello spazio stesso. In questo spazio una linea chiusa qualunque può riguardarsi come l’intero contorno di una superficie tutta contenuta nello spazio stesso. Questo spazio può ridursi semplicemente connesso per mezzo di una sezione lineare, cioè di una linea che va dalla superficie esterna a un punto della sfera interna. Dovendo i punti di questa sezione riguardarsi allora come esterni allo spazio, le sfere concentriche comprese fra le due non sono più comprese interamente nello spazio, perché attraversano la sezione quindi lo spazio, coll’aggiunta di una sezione lineare, è ridotto semplicemente connesso.” Lettera di Betti a Placido Tardy, 6 Ottobre 1863, Biblioteca Universitaria di Genova.

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